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 SITUAZIONE EMERGENZIALE E MATERIA CONDOMINIALE

RIFLESSIONI E SPUNTI CRITICI 

Sappiamo bene quanto la pandemia generata dal virus Covid-19 abbia sconvolto la vita quotidiana di tutti noi, sotto ogni punto di vista e quante criticità abbia indotto non solo a livello produttivo e commerciale, ma anche giuridico, sia in relazione all’avvento improvviso della legislazione emergenziale sia all’impatto della situazione emergenziale stessa nei rapporti giuridici di pressoché ogni tipologia.

I rapporti condominiali attenendo in particolare alla vita quotidiana di quasi il 70% degli italiani, rivestono una particolare importanza e sicuramente va esaminata con attenzione la relazione tra questi rapporti e la situazione emergenziale, sotto diversi aspetti che qui, per comodità si cercherà di riportare in paragrafi distinti, a seconda della problematica.

1) La figura dell’amministratore. 

L’attività professionale degli amministratori di condominio sì è trovata particolarmente colpita negli ultimi due mesi, se non altro sotto il profilo dei dubbi e delle incertezze che nascevano dalla incoerenza ed oscurità della legislazione emergenziale. Gran parte di questi problemi può oramai dirsi superata, alla luce delle nuove normative che hanno consentito la ripresa delle attività economiche, professionali e produttive; se ne darà comunque conto sia per memoria storica, sia per mantenere uno strumento di analisi di eventuali casi pratici che potrebbero nei prossimi mesi presentarsi in uno Studio legale.

Va dunque innanzitutto evidenziata la discrasia presente nella legislazione emergenziale che ha disciplinato la ormai conclusa “Fase 1”, tra la pressoché generalizzata possibilità per i professionisti di continuare ad esercitare la propria attività, non essendo prevista alcuna sospensione dell’attività per gli studi professionali, con l’elenco dei codici ATECO in cui non compariva quella delle amministrazioni condominiali. Se così nell’elenco allegato al DPCM potevano restare aperte le attività legali e contabili, ma anche gli studi di architettura e di ingegneria, così come i commercialisti ed i notai, nessun cenno agli amministratori di condominio.

Si è argomentato così, da una parte che gli amministratori di condominio, non essendo citata nell’elenco la loro attività, non avrebbero potuto recarsi nei propri studi, ma dall’altra che solo gli amministratori che esercitano la propria attività individualmente, come professionisti, avrebbero potuto comunque recarsi nei propri studi, mentre se avessero esercitato in forma societaria, la loro attività sarebbe rimasta sospesa.

E’ evidente che entrambe le soluzioni destavano non poche perplessità. 

Con riguardo alla prima soluzione interpretativa le perplessità sorgevano in ragione delle attività che l’amministratore svolge e che proprio in questo periodo necessitava di un’applicazione in più da parte dell’amministratore, sia in relazione alle situazioni di pericolo e di emergenza che potevano crearsi all’interno del condominio, sia perché molti rapporti con i terzi fornitori (come si vedrà infra, in apposito paragrafo) necessitavano di una presenza dell’amministratore nello studio.

Con riferimento alla seconda soluzione interpretativa, appariva invece evidente una disparità di trattamento del tutto ingiustificata, a seconda di quale fosse la tipologia in cui era esercitata l’attività, che rimaneva e rimane un dato esclusivamente formale rispetto all’impatto sulla situazione emergenziale e che quindi non può e non avrebbe potuto esser tenuto in considerazione.

D’altro canto, occorre precisare che, in tutti quei casi in cui lo spostamento dell’amministratore, non solo presso il proprio studio, ma anche presso il condominio, fosse dettato da esigenze proprio legate all’emergenza del Covid-19, quali ad es. affissione di avvisi, provvedimenti da adottare nei casi in cui vi sia un condomino riconosciuto malato di Covid-19, non avrebbe potuto non ravvisarsi una legittima giustificazione allo spostamento da parte dell’amministratore.

Dopo questa prima necessaria analisi, occorre un approfondimento sugli obblighi dell’amministratore condominiale, più che sull’attività del medesimo.

Sappiamo che le norme sull’amministratore del condominio, con l’introduzione della legge n. 220 del 2012, hanno subito un notevole mutamento nel senso di sottolineare ed ampliare il contenuto degli obblighi stessi, giungendo quindi ad un potenziale aumento delle responsabilità, tali da rendere più agevole una revoca in caso di inadempimento da parte dell’amministratore stesso.

Ora, come si atteggiano tali obblighi in relazione ai divieti di spostamento nella legislazione emergenziale ed all’intera situazione di potenziali pericoli per la collettività condominiale?

Nell’ipotesi, più accreditata, di interpretazione restrittiva della norma di impedimento agli spostamenti dell’amministratore, chiaramente non si può non andare in conflitto con gli obblighi e soprattutto con i termini che il codice civile impone all’amministratore stesso. Basti pensare all’obbligo di rendere il conto entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio e convocare apposita assemblea per l’approvazione (art. 1130 n. 10 c.c.) o a quello di cui all’art. 1129 comma 9 c.c., in relazione all’art.63 disp. att. c.c., che impone all’amministratore di attivarsi giudizialmente per il recupero degli oneri condominiali (e come, se gli Uffici del Giudice di Pace di ricezione delle iscrizioni a ruolo dei decreti ingiuntivi sono chiusi?).

Sicuramente sarà quindi auspicabile un intervento legislativo per contemperare gli interessi e posporre i termini. Va anche detto però che esiste già un indirizzo giurisprudenziale più elastico (ad es. del Tribunale di Roma) che, pur prendendo atto degli obblighi previsti dalle norme, all’inadempimento dei medesimi ne fa discendere la sanzione massima della revoca dell’amministratore, solo in casi di protrazione ingiustificata di tali inadempimenti o di effettivo danno ai condomini eziologicamente ricollegato alle violazioni degli obblighi imposti (cfr. per tutte Tribunale Roma decreto del 06.04.2017, num. cron. 2531/2017). 

Già quindi un certo indirizzo giurisprudenziale, qualora non dovesse intervenire una norma ad hoc, potrebbe adattarsi in maniera confacente all’attuale grave situazione emergenziale e quindi impedire che l’amministratore inadempiente agli obblighi a causa della pandemia in atto, possa essere ingiustamente revocato.

D’altro canto la stessa legislazione emergenziale ha esplicitato che il “rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore” (art. 91 DL 18/2020, di cui si è già ampiamente parlato in occasione di un altro lavoro di Vis Romana, in materia locatizia). Per cui anche sotto tale profilo, difficilmente all’amministratore potrà essere imputato un risarcimento del danno per suoi inadempimenti indipendenti dalla sua volontà, ma afferenti e provocati dalle misure di contenimento.

Vi è poi da prendere in considerazione tutti quegli obblighi riferiti all’amministratore e che possono ricadere nella sua persona, come conseguenze sanzionatorie anche sotto il profilo penale. Si pensi agli obblighi conservativi o di sanificazione di parti comuni (a maggior ragione di questi tempi!) in capo all’amministratore che deve evitare per quanto è nelle proprie competenze, che possano derivare danni anche gravi a terzi o agli stessi condomini, eventualmente cagionati da una fatiscenza o mancata manutenzione di beni comuni. In tal caso l’amministratore ha un potere/dovere di agire per porre riparo con urgenza alla situazione di pericolo e senza il ricorso alla delibera assembleare, salvo ovviamente ratifica da parte della riunione collegiale. 

In questi casi sicuramente l’amministratore, proprio perché è suo dovere fare quanto è nelle sue possibilità, sarà esentato dagli obblighi di permanenza nella propria abitazione, perché dovrà agire nell’interesse superiore di salvaguardare l’incolumità delle persone da un pericolo imminente.

2) L’assemblea. L’impatto del Covid-19 sulle riunioni collegiali.

Premettiamo che la decretazione d'urgenza in tema di Covid-19, a tutt'oggi, non ha riservato spazio al condominio, per cui il generale divieto di assembramento e quindi di riunione, è certamente applicabile anche alle assemblee condominiali. Per i motivi sopra evidenziati e per altre esigenze che dovessero presentarsi è però impensabile che all’interno della comunità condominiale possa perdurare sine die una situazione che di fatto esautora dall’organizzazione condominiale il suo organo più importante dal punto di vista dell’ente di gestione. 

Va subito affermato che, in pendenza della situazione emergenziale e con il vigore delle relative norme emanate, eventuali delibere adottate dai condomini con un’assemblea riunitasi in spregio a tali norme imperative, sarebbe radicalmente nulla (ex art. 1418 c.c.).

Ciò che più salta agli occhi con maggiore stupore è che il legislatore dell’emergenza, pur prestando attenzione addirittura alle esigenze delle associazioni private non riconosciute, non abbia previsto nulla in materia condominiale. Per le associazioni riconosciute è infatti per esempio prevista la possibilità di riunirsi in teleconferenza (cfr. DL 18/2020, articolo 73, comma 4). 

Del pari (articolo 106, DL 18/2020) in tema di svolgimento delle assemblee societarie durante l’epidemia c’è la norma che consente a qualsiasi società, di obbligare - statuendolo nell’avviso di convocazione - i partecipanti all’assemblea a svolgerla in totale audio conferenza.

Si può quindi affermare che il legislatore, tacendo, abbia voluto escludere il condominio da tali possibilità, di fatto togliendo ogni possibilità all’assemblea condominiale di avere un qualunque potere decisionale all’epoca del Covid-19?

La nostra impressione è che il legislatore se ne sia proprio dimenticato, tant’è che da diverse parti si sta cercando di porre riparo con ulteriori interventi legislativi. Appare anche poco coerente e del tutto ingiustificato, consentire assemblee telematiche a tutti gli enti, addirittura alla Giustizia, con tutti i problemi che sappiamo ne derivano, soprattutto nel penale, ed invece vietarlo nell’ambito condominiale. Non ci interessa qui però mettere in evidenza la sciatteria del legislatore, quanto piuttosto ricercare le soluzioni interpretative ai tanti problemi insorti.

Primo ostacolo alla possibilità di un’assemblea in videoconferenza è l’art.66 disp. att. laddove dispone che nell’avviso di convocazione debba indicarsi luogo, data e ora della riunione. 

Nel caso di assemblea in videoconferenza il luogo dovrebbe essere lo studio dell’amministratore, collegato online. Ma certo è cosa diversa rispetto al luogo fisico, proprio perché i condomini sono ovviamente collegati in altro luogo, quindi il luogo reale è quello “virtuale” per usare un gioco di parole. Qualche dubbio di legittimità può quindi rimanere, ma si tratta di un dubbio su una questione meramente formale, che se non trova un riscontro pratico di lesione del diritto da parte di chi eventualmente impugni la delibera assunta in videoconferenza, difficilmente troverà accoglimento da parte della giurisprudenza.

Per converso bisogna sottolineare che non vi è una norma che preveda la possibilità di effettuare la riunione assembleare con modalità diverse da quella fisica, mentre laddove il legislatore ha previsto una diversa modalità da quella cartacea lo ha espressamente previsto in materia condominiale (si pensi ai registri di contabilità su supporto informatico).

Secondo una certa dottrina peraltro, (Scarpa-Chiesi) si ritiene che la previsione di dar luogo alla assemblea telematica, siccome diversa rispetto a quella prevista dall'articolo 67 delle disposizioni di attuazione al Codice Civile, possa essere disposta già in sede assembleare, con il ricorso ad una maggioranza di cui all'articolo 1136, comma 3, Codice civile (in Condominio e Covid-19, Guida alla gestione condominiale nello stato di emergenza”, Ilsole24ore, aprile 2020, pag. 15 e ss).

In effetti, seconda tale dottrina, con la tele-assemblea non vengono meno i diritti dei condòmini, semmai si accrescono le forme attraverso cui esse possono estrinsecarsi, per cui in tal guisa sarebbe superabile la previsione dell’art.72 disp. att. c.c. con la quale si dichiarano inderogabili le disposizioni di cui agli artt.66 e 67 che riguardano appunto le assemblee condominiali. 

A nostro giudizio però queste argomentazioni non risolvono in concreto il problema, a meno che ciò non sia espressamente già previsto in un regolamento condominiale, dovendosi altrimenti previamente disporre una modifica del regolamento con un’assemblea “fisica” che difficilmente si potrà riscontrare nella pratica in questo momento di emergenza, a meno che non vi siano stati condomini talmente lungimiranti da prevedere in anticipo le attuali necessità. Di certo è un’interpretazione che ben potrà essere fatta valere in futuro, proprio per dar modo al condominio di essere preparato ad affrontare situazioni emergenziali o comunque di necessità di convocare assemblee in videoconferenza.

Il rischio dunque, di una impugnativa della delibera assunta in via telematica rimane considerevole ed in mancanza di una modifica legislativa o di una previa delibera assembleare che la consenta, la riteniamo sconsigliabile, a meno che l’amministratore non riesca a raccogliere consensi unanimi, tali da evitare future impugnative.

Un ultimo accenno infine al termine di impugnazione delle delibere condominiali previsto dall’art.1137 c.c. (trenta giorni decorrenti dal giorno dell’assemblea per i presenti dissenzienti o dalla ricezione del verbale per gli assenti), nel caso questo termine ricada nel periodo di sospensione dei termini processuali e dei procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie. 

Ricordiamo che con sentenza n. 49 del 1990 la Corte Costituzionale nel dichiarare l’illegittimità dell’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969 n. 742, nella parte in cui non disponeva che la sospensione nel periodo feriale, ivi prevista, si applicasse anche al termine di trenta giorni, di cui all’articolo 1137 del Codice Civile, ebbe modo di chiarire che la predetta sospensione debba imporsi allorquando la proposizione dell’azione giudiziale costituisca per il titolare l’unico rimedio per far valere un suo diritto. Tale principio fu ritenuto operante dalla Corte costituzionale per l’articolo 1137 del codice civile, in quanto esso, fissando perentoriamente il termine di trenta giorni per l’impugnazione delle delibere dell’assemblea condominiale e trattandosi di termine connotato da brevità tale da rendere particolarmente difficile munirsi della necessaria difesa tecnica quando il suo decorso cada nel periodo di sospensione feriale, avrebbe appunto leso i diritti dell’impugnante.

Il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, all'articolo 83 comma 20, prevede che: «sono altresì sospesi i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, numero 28, nei procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del decreto legge 12 settembre 2014, numero 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, numero 162, nonché in tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale regolati dalle disposizioni vigenti, quando i procedimenti in questione siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscano condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Tale disposizione, riportata sottolineata per la parte che più interessa, si prestava a due diverse interpretazioni. Secondo la prima (Rosario Dolce, Il Quotidiano del Condominio, il Sole24Ore, 18.3.2020), la sospensione si applicherebbe esclusivamente ai procedimenti di mediazione in corso, ovverossia quelli promossi entro il 9.3.2020. Una diversa interpretazione può giungere invece a sostenere che la sospensione si applichi a tutte le mediazioni in corso dalla data del 9.3.2020, nonché a tutti i casi, tra cui quello appunto in esame, in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

La prima interpretazione basa il proprio convincimento sulla congiunzione “e”, ritenendo quindi che ambedue i requisiti debbano essere presenti. A giudizio di chi scrive non è però un’interpretazione rispondente alla ratio della normativa emergenziale, perché in tal modo, in tutti i procedimenti in cui la mediazione è solo facoltativa la sospensione dei termini non dovrebbe applicarsi, per cui le mediazioni dovrebbero proseguire ugualmente, nonostante la situazione di emergenza e quand’anche le parti o l’organismo non avessero i mezzi a disposizione per seguire la procedura con dispositivi telematici.

In altre parole, quella interpretazione sarebbe quindi contraria ad una risoluzione stragiudiziale delle controversie qualora non siano state poste dalla legge come condizioni di procedibilità, cosa che è assolutamente divergente con lo spirito del legislatore che ha cercato di promuovere, non solo con l’obbligatorietà in alcune materie, la risoluzione stragiudiziale delle controversie.

Oggi, tuttavia, dobbiamo affrontare l’ulteriore problematica insorta a seguito delle norme in ultimo emesse (nuova formulazione dell’art.83, comma 20, del citato D.L.n.18/2020, dettata con la legge di conversione del medesimo decreto – Legge n.27 del 24.4.2020), che hanno da un lato confermato le sospensioni de quibus fino al giorno originariamente fissato al 15.04.2020, ma subito dopo, con ulteriore Decreto (D.L. n.28 del 30.4.2020 vigente dal 1.5.2020), la sospensione dei termini è stata allungata all’11.5.2020; e da altro lato hanno ricompreso nella sospensione anche i procedimenti di Mediazione c.d. volontari, il cui esperimento non è condizione di procedibilità, eliminando la distinzione a suo tempo effettuata nel primo Decreto.

Ora, in base a tali normative, si può affermare che i termini inerenti i procedimenti di Mediazione risultino tutti sospesi, per le mediazioni attivate dal 9 marzo 2020; ma sempre in base a tali norme non si può dedurre che anche il termine di impugnazione di cui all’art.1337 c.c. sia sospeso per effetto di tale previsione legislativa, proprio perché riguarderebbe un termine non riferibile alle Mediazioni “non attivate”.

Resta però, in tal guisa, il dilemma sull’applicabilità della sospensione decisa dalle normative emergenziali per i termini processuali, in relazione all’insegnamento della sentenza della Corte Costituzionale sopra citata.

Il fatto paradossale è che l’interprete si trova costretto, in mancanza di norme certe, nel riesaminare quella sentenza della Corte Costituzionale sopra citata e valutare se, anche nel caso di specie, la sospensione delle attività processuali dell’avvocato ed i divieti imposti dalla legislazione di emergenza, abbiano o meno impedito di fatto o reso oltremodo difficoltoso l’esercizio dell’attività difensiva prodromica all’avvio del procedimento di mediazione, in cui, ricordiamo, la difesa tecnica è comunque indispensabile. Qualora si riconosca infatti che in concreto il condomino assente alla riunione (anche celebrata prima dell’emergenza Covid-19, ma con verbale comunicatogli dopo il 9 marzo 2020) bene avrebbe potuto recarsi presso lo studio dell’avvocato, sottoscrivere l’istanza di mediazione ed instaurare così il procedimento di mediazione, in tal caso dovrebbe riconoscersi che non v’è alcuna sospensione del termine.

Viceversa, qualora si riconosca che comunque, a causa dell’emergenza Covid-19 e nonostante la possibilità degli avvocati di continuare a svolgere la propria professione, il condomino con grosse difficoltà avrebbe potuto recarsi nello studio dell’avvocato (all’uopo debitamente organizzato con norme igienico-sanitarie – da notare dettate però solo successivamente per la fase 2 dell’emergenza-), allora si dovrebbe propendere per l’applicabilità al caso di specie della sospensione del termine o, in ultima analisi, in una illegittimità costituzionale per la mancata espressa previsione legislativa. 

In ogni caso, e per l’ennesima volta, ci troviamo di fronte ad una serie di norme non chiare e tra loro non perfettamente coordinate da parte del Legislatore emergenziale, per cui è consigliabile fare attenzione a non incorrere in decadenze e depositare (se possibile online) l’istanza di mediazione ed assicurarsi che l’Organismo faccia in modo che il chiamato in mediazione riceva l’istanza ed i documenti di rito allegati.

Come già cennato la questione non è di poco conto, come frettolosamente alcuni addetti ai lavori hanno invece sottolineato, perché non può essere riferita solo al ristretto caso delle assemblee tenutesi in periodo di emergenza Covid-19, ma in tutti quei casi in cui l’amministratore abbia inviato (per es. a mezzo pec o raccomandata) il verbale di assemblea al condomino assente alla riunione assembleare.

3) La responsabilità condominiale dei condomini verso il condominio.

Come sappiamo ed affrontato in altri nostri lavori (cfr. documento Vis Romana sulle locazioni e l’emergenza Covid-19), la legislazione emergenziale, nel groviglio normativo prodotto in questi ultimi mesi, ha riconosciuto alle misure di contenimento in corso anche l'effetto di poter escludere la responsabilità del debitore per mancato adempimento della sua prestazione ai sensi degli artt. 1218 e 1223 del Codice. Questa responsabilità (che è sia “contrattuale” che riferibile agli obblighi nascenti dalla legge) non sorgerebbe nell’ipotesi di situazione emergenziale provocata dal Covid-19.

Orbene, come si atteggia tale disposizione con l’obbligo di pagamento delle quote condominiali?

Con riguardo ai condòmini va precisato che il suddetto esonero non può operare per il pagamento delle quote contributive (le spese di cui agli artt. 1123 e seguenti del Codice). Infatti, per estinguere l'obbligazione, l'impossibilità sopravvenuta (secondo l'indirizzo accolto in dottrina e giurisprudenza) deve prescindere dalle vicende soggettive (personali o patrimoniali) del debitore e consistere in un impedimento obiettivo, assoluto e definitivo, non già estrinsecarsi in una mera difficoltà di adempiere per mancanza di liquidità, per cui tale impossibilità non viene riconosciuta nelle obbligazioni pecuniarie (v. per tutti Cassazione n. 25777/2013). Né si può sostenere che le limitazioni dei movimenti all'esterno possano impedire e quindi estinguere l'obbligazione, che è comunque legata al funzionamento dell’ente di gestione ed alla manutenzione dei servizi nello stabile, e che senza gli apporti condominiali, rischierebbe di compromettere la vita stessa condominiale. Si pensi, per fare un esempio concreto, al pagamento delle utenze (che la legislazione emergenziale non ha inteso sospendere), che senza il pagamento delle bollette condominiali non potrebbe essere onerato dal Condominio e che quindi rischierebbe, sempre a titolo esemplificativo, di far rimanere i condomini senza luce, senza acqua e senza ascensori.

Il condomino quindi non potrà opporre alcuna eccezione alla richiesta di pagamento, tenendo anche presente delle note difficoltà pratiche per il deposito dei ricorsi per ingiunzione, che con ogni probabilità già metteranno i condomini in una concreta situazione di vantaggio nel raggiungere in alternativa accordi dilatori con l’amministratore, che al momento è quasi impossibilitato ad ottenere l’adempimento coattivo giudizialmente.

4) I rapporti tra il Condominio ed i terzi (fornitori). In particolare le vicende del rapporto di appalto per il condominio nel periodo emergenziale.

Il contratto di appalto è uno degli strumenti giuridici più usati nell’ambito della vita condominiale e che caratterizza per lo più il rapporto tra condominio e fornitori, sia esso appalto di servizi o appalto di opere.

Nello specifico l’assemblea e l’amministratore dividono, per quanto di competenza, il peso della responsabilità della conclusione del contratto di appalto. Secondo gli ordinari criteri di suddivisione della gestione condominiale tra i predetti organi, ove si tratti dello svolgimento di opere (o servizi) riconducibili alla manutenzione ordinaria, il contratto può essere concluso direttamente dall’amministratore, senza necessità di una delibera autorizzativa ovvero di ratifica ad opera del condominio, al contrario necessaria allorquando si debba stipulare un contratto per manutenzioni straordinarie (in particolare di notevole entità: rif. art. 1136, commi 2 e 4 cc).

Quanto sopra già di per sé evidenzia una prima grossa problematica in relazione all’impossibilità concreta di poter validamente deliberare nel momento attuale, per cui, in tutti quei casi in cui la legge riserva la competenza all’assemblea, per giunta con maggioranze qualificate, l’amministratore non potrà validamente stipulare contratti di appalto, se non per i casi in cui debba eseguire opere in urgenza, peraltro solo se consentite in relazione alla legislazione emergenziale.

Ma cosa accade per i rapporti di appalto già instauratisi? 

Occorre intanto sottolineare che la legislazione d’emergenza ha sospeso, tra le varie attività anche quella delle ristrutturazioni edilizie, sospensione che invece, ad esempio, non è stata prevista per le attività di vigilanza, pulizia, disinfestazione e manutenzione impianti.

Quindi, per quelle attività non sospese, si continueranno ad applicare i principi e norme generali, per cui i reciproci obblighi contrattuali rimarranno intatti, pur dovendo assumere tutte le precauzioni del caso nell’esecuzione delle rispettive attività.

Per le attività invece soggette a sospensione, è chiaro che il rapporto subisce un’inevitabile influenza rispetto all’attuale situazione. Per l’interprete torna utile, come ormai siamo abituati in questo periodo, la previsione di cui all’art.91, comma 1 del D.L. n. 18/2020 che giova sempre riportare: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione  di eventuali decadenze o penali  connesse a ritardati o omessi  adempimenti”.

Tale norma è sicuramente applicabile alla prestazione dovuta dall’appaltatore, che si vede costretto a non poter adempiere, proprio a causa dei divieti prescritti dalla legislazione emergenziale.

Per quanto riguarda la prestazione del condominio, del resto, simmetricamente, non potendo avvantaggiarsi delle prestazioni astrattamente dovutegli in esecuzione di quel contratto d’appalto, deve intendersi esonerato dall’obbligo di pagamento del relativo corrispettivo, in piena applicazione degli artt. 1375 e 1460 c.c. 

Il mancato adempimento entro un termine essenziale, infatti, non può dar luogo a risoluzione del contratto, se l'inadempimento non sia imputabile all'obbligato almeno a titolo di colpa, ma corrisponda alla mancata  prestazione dell'altra parte,  divenuta temporaneamente impossibile. In tal caso, infatti, l'obbligato può invocare l'exceptio inadimpleti contractus, restando per la temporanea impossibilità sospeso il termine essenziale (cfr. Cass. n. 3542/1977).

Nessuna delle parti potrà quindi avvalersi del rimedio della risoluzione, ma ciò non toglie che possa esercitarsi il diritto di recesso ex art.1671 c.c., che però comporta l’obbligo di corrispondere l’indennizzo comprendente sia le spese sostenute dall’appaltatore, sia il corrispettivo dei lavori eseguiti che il mancato guadagno, che nel caso specifico dovrebbe tener conto della sospensione ex lege emergenziale dell’attività.

Aggiornamento 

 

A seguito della nuova situazione venutasi a determinare con l’avvento delle fasi cosiddette 2 e 3 (o 2bis, se si preferisce così definirla) della situazione emergenziale, il Governo italiano, più che attraverso il metodo tipico del DPCM, cui ci ha abituato con successive chiusure e riaperture delle attività in relazione all’andamento della pandemia da Covid-19, in materia condominiale ha avuto modo di esprimere i propri “dettami”, attraverso la risposta alle cosiddette “FAQ”. 

In una di queste ha infatti chiarito, non senza rilievi critici che possono essere mossi a questa tipologia di espressione governativa – lungi dall’essere qualificata come produttiva di norme cogenti –  che “le assemblee di condominio possono svolgersi in presenza fisica…nel rispetto delle norme sanitarie di contenimento della diffusione del contagio da COVID-19”. Anziché prevedere delle norme ad hoc, dunque, si è preferito lasciare il campo libero alle interpretazioni, pur con questa indicazione dal sapore innovativo, ma poco utile agli operatori del settore e soprattutto agli amministratori di condominio che si vedono quindi  costretti ad assumere su di sé tutte le responsabilità del caso in occasione di convocazione di assemblea. Per tali motivi, noi di Vis, abbiamo pensato che possa essere invece molto più utile e pratico redigere un documento, da sottoporre ai condomini in caso di necessità di riunioni assembleari, in maniera tale da limitare al massimo le occasioni di contagio e quindi le responsabilità che ne possano conseguire per chi ne ha disposto la convocazione.

 

 

ALLEGATO 1

 

Al Documento pubblicato in data 12.05.2020 viene quindi aggiunto un allegato  riportante una Dichiarazione sull’assenza di situazioni di rischio e sulla accettazione delle procedure di precauzione, che potrà essere sottoposta per la firma ai Condomini  in vista di una eventuale Assemblea “in presenza”.

 

 

Dichiarazione dei condomini di assenza di situazioni di pericolo

per la partecipazione ad assemblea

Io sottoscritto _________________________________________________ 

nato a ________________________ il ____________ cod. fisc. ____________  residente in 

 

______________________________________________________________

 

DICHIARO

- di aver ricevuto nei termini la convocazione di assemblea che sarà tenuta in luogo aperto, sempre all’interno del Condominio, nel rispetto della privacy condominiale;

- di aver misurato la temperatura corporea prima dell’arrivo in assemblea e comunque nelle antecedenti 24 ore, e che la stessa è inferiore a 37,5 gradi centigradi; nonché di non aver riscontrato alcun altro sintomo influenzale o assimilabile o comunque ricollegabile al COVID-19;

- di non aver avuto contatti con soggetti che per quanto è a mia conoscenza fossero riconosciuti positivi al COVID-19 o con soggetti potenzialmente ritenuti tali, e ciò per i quindici giorni precedenti l’accesso all’assemblea,

- di non provenire da alcuna zona a rischio e di non essermi recato in tali zone nei quindici giorni antecedenti l’accesso allo Studio;

- di essere a conoscenza di tutti i provvedimenti emergenziali emanati in ragione della crisi epidemica in atto e di aver sempre osservato tutte le misure di sicurezza attenendomi scrupolosamente alle indicazioni normative e regolamentari, con particolare riferimento alla frequente igienizzazione delle mani, uso dei guanti e mascherina e di non avere motivo di ritenere di aver contratto infezione da SARS CoV-2;

- di essere a conoscenza che si dovrà tenere la reciproca distanza di due metri;

- di essere a conoscenza che al momento dell’accesso all’assemblea mi sarà richiesto di sanificare le mani con una apposita soluzione che sarà messa a disposizione dall’amministratore. Durante la permanenza in assemblea è obbligatorio indossare mascherina e guanti e dovrà essere evitato il più possibile lo scambio di materiale tra condomini. Nel caso di passaggio di fogli e/o altro materiale tra condomini, questi dovranno riprovvedere a sanificare di nuovo le mani onde evitare possibili contagi.

Roma ________________

firma

 

 

                                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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